Articolo di Maria Torrisi

Dei gelati ormai si trovano anche i gusti più disparati: dalla malvasia al parmigiano, dal chewingum alla merendina “griffata”. I nomi associati alle proposte più originali sfidano poi ogni fantasia: basta una nuova moda, un evento eccezionale di cronaca, una importante sfida sportiva superata, che ecco fanno capolino “Puffi”, “Italia ’90”, “Viagra” e per ultimo persino “Samara”. 

“Questo sono diventate oggi le gelaterie – sospira Roberto Fiorino, terzo di una gloriosa generazione di maestri gelatai di Caltanissetta – sono una corsa sfrenata ad offrire ai clienti un gusto in più. Ma il gelato non è soltanto un impasto dolce e freddo che si scioglie in bocca! Anzi, quello tradizionale dei nostri nonni era più denso e cremoso, più ricco e più nutriente.

L’arte di creare un prodotto dal gusto perfetto, dalla consistenza morbida e densa, che non svanisce appena arriva in bocca, è frutto di una sequenza di precisi passaggi, di tempi di lavorazione codificati, di mezzi e di tecniche appropriate, oltre che di scelta accurata di ingredienti”.

E’ sotto gli occhi di tutti la velocità e la frequenza con le quali ormai sorgano gelaterie. Sembra che la conoscenza del settore e l’esperienza non rivestano più alcuna importanza, mentre i gelati hanno dappertutto lo stesso sapore. “Si, le gelaterie sono diventate dei distributori di prodotti miscelati e refrigerati e non c’è quasi più l’artigianalità di una volta. Quella che faceva le differenze tra un gelato al pistacchio e l’altro e che, di conseguenza, portava i clienti a scegliere una gelateria piuttosto che l’altra”. 

Accanto ai tradizionali e intramontabili gusti pieni sono comparsi i variegati al biscotto e crema che riproducono esattamente, nel sapore e nei colori, aspetto della merendina, della crema spalmabile, della bibita in lattina, di cui portano servilmente il nome.

“E’ solo marketing – taglia corto Fiorino – promozione pubblicitaria per l’azienda che produce le merendine o la bibita in questione. I consumi che restano stabilmente alti sono ancorati ai sapori tradizionali, ma per le gelaterie guai a non esporre almeno 24 vaschette di gusti differenti! Si è arrivati anche ad esibirne ben 72”.

Non c’è bisogno di andare molto lontano nel tempo, né di appellarsi al famoso Procopio dei Coltelli, il siciliano che esportò per primo a Parigi la formula del gelato, per risalire alla ricetta delle origini. “Il gelato artigianale era una crema fatta con torli d’uovo, zucchero e latte: per questo il nome con cui il gelato è conosciuto nel mondo è ice-cream! La crema veniva cotta in una pentola sul fuoco e pastorizzata, poi si lasciava maturare a temperatura ambiente e solo alla fine veniva portata alle basse temperature e frattanto veniva emulsionata e mantecata. Un lavoro che si faceva a mano, poi a manovella e più recentemente con le macchine. Oggi le uova, soprattutto al sud, non si usano più e sono comparsi gli addensanti, gli emulsionanti, i conservanti e gli stabilizzanti. I preparati di base poi sono tutti uguali e le macchine coprono l’intero processo della lavorazione”.

Dispiaciuto? No. Roberto Fiorino, ormai in pensione e dopo aver chiuso l’antica gelateria di Caltanissetta già nel 2017 per dedicarsi ancora alla formazione e alla consulenza, non rimpiange il passato, le ore passate da bambino a girare la manovella del mantecatore, il ghiaccio col sale intorno alle carapine (i contenitori cilindrici di metallo che ora non esistono quasi più), i gusti che si contavano sulle dita di una mano. Quello che gli dispiace si sia perso sono le buone abitudini: la capacità dei clienti di apprezzare la qualità dei prodotti, la possibilità di offrire una gamma più ampia di declinazioni della forma del gelato (con i “pezzi duri” e gli “schiumoni” ad esempio) e le passeggiate serali delle famiglie che approdavano ai tavoli delle gelaterie per sorbire lentamente una coppa di gelato, spesso servita in generose porzioni. “Il fast food ha trasformato le abitudini alimentari – sintetizza il maestro gelataio – come la chimica ha trasformato la composizione degli alimenti. Si rischia di non sapere più dove si sta andando: occorre non dimenticare le lezioni del passato per evitare di perdere la bussola e smarrire la direzione per il futuro”.

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