Articolo di Alberto Cicero

Perle, distillate, di saggezza. E come potrebbe essere diversamente? Vito La Rosa, nella sua storica “Siciliana” di Catania (gestita assieme al fratello Salvo), autentico simbolo, ne ha viste tante. Cinquanta e passa anni tra i fornelli, a cercare e guidare al tempo stesso i gusti della gente. Ricercando sempre l’impresa perfetta, la pietanza perfetta. Quella che sia semplice e memorabile al tempo stesso. 

Tanta, tantissima, gente passa da lì. Imprenditori, commercianti, dirigenti, professionisti. Ma anche tanta gente comune, attirata dal richiamo di un mito, un locale che è forse tra i luoghi storici della città. Osiamo ? Un po’ come il “liotro” in piazza Duomo.

<Riaprire il nostro ristorante – spiega Vito La Rosa – è stato un atto di rispetto verso i nostri clienti. Spesso si viene da noi anche in una pausa di lavoro e in questo momento ce ne è poco. Oppure vengono turisti in città. E il turismo è totalmentefermo. Abbiamo fatto un po’ di delivery ma soprattutto ci siamo rimessi in moto per spirito di servizio. Perché è questo che ci guida e ci trascina adesso: sentire la cucina come un servizio e un ristorante aperto come una sorta di presidio sul territorio, in mezzo alla gente che ha voglia di ripartire>.

E’ una sfida, quindi. Un voler resistere, non indietreggiare davanti a una situazione che sembra – a volte – più grande di te, più grande di tutto. <I nostri dipendenti sono in cassa integrazione, lavorano a settimane alternate. Dobbiamo resistere. Dobbiamo essere non solo presidio fisico, ma anche e  soprattutto morale, psicologico. C’è il senso del dovere, quindi, che ci anima in questo momento, ma anche un forte senso di speranza>.

Ma a questa energia positiva, costruttiva, si oppone ancora un certo senso di sgomento della gente: <Molti hanno paura a uscire. In una famiglia basta che qualcuno non se la senta, che abbia qualche remora e finisce che non si vada fuori – racconta La Rosa – Noi ci siamo rimboccati le maniche ma è un periodo così duro, inutile nasconderlo. Abbiamo circa il 30 per cento dei clienti ante pandemia. Sabato e domenica qualcosa in più. Ma non ci arrendiamo, non ci siamo mai arresi. Per me il lavoro è stato sempre la priorità della vita da quando avevo 14 anni>.

E’ l’impegno, totale, che ha caratterizzato la vita di La Rosa, anche sul piano squisitamente umano come sa bene chi lo conosce anche dietro le quinte della cucina. E anche sulla pandemia La Rosa è chiarissimo: <Siamo, o meglio, dovremmo essere una nazione avanzata e invece…. Avremmo dovuto affrontare meglio la situazione subito perché il risultato sono stati tre mesi di fermo totale, un’economia a pezzi. Ecco, adesso avremmo bisogno, come ristorazione, di aiuti come per tutti gli altri settori. E poi, mi sembra inutile concepire aiuti solo come rinvio delle imposte. Bisognerebbe fare al contrario: dare denaro subito alle famiglie e alle imprese e magari fare pagare normalmente le tasse>.

L’analisi continua, dall’economia – attraverso la “lente” privilegiata – si passa alla “fotografia” delle famiglie: <Bisogna guardare molto ai giovani, specialmente adesso: perché sono di due categorie, o menefreghisti o spaventatissimi. Come i miei tre figli, in cui anche ora, c’è molta psicosi. E bisognerebbe evitare l’uno e l’altro atteggiamento. I clienti ? Anche tra di loro molti aspetti contrastanti, come in un momento post emergenza: per chi ha coscienza che non cambia niente, poca differenza. Qualcuno, invece, si preoccupa per l’economia delle famiglie>.

Andiamo in cucina, adesso. Per un bravo cuoco sono fondamentali le materie prime. <Nessun problema da questo punto di vista. Se ne trovano di ottima qualità e nella quantità necessaria. Esattamente come prima della pandemia>. <Un piatto della ripartenza ? Beh, direi un piatto di pesce, sicuramente. Ecco: aragoste, per esempio, che sono un simbolo di benessere e opulenza>.

Infine il legame, con le tradizioni e col territorio: <Il nostro menù resta quello solito, ma ci sono piatti come lo spezzatino, i legumi, il pesce stocco, che hanno un valore ulteriore, perché sono simboli della nostra cucina e del nostro territorio. Simboli del  nostro passato e, speriamo, anche del nostro futuro. E li cucineremo sempre ! Anche per ricordare le tradizioni e anche…. Per aspettare periodi meno bui di questo>.

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