Articolo di Maria Torrisi

Molti al posto suo avrebbero abbandonato il campo. Avrebbero voltato le spalle ad un passato che non assicurava più nulla di buono e, forse anche con nostalgia e con rimpianto, si sarebbero lanciati in una nuova e più promettente attività. La famiglia di Gabriele Ferron invece ha creduto nella rinascita del settore al quale da generazioni era legata. E ce l’ha fatta, diventando la prima azienda nella trasformazione del “Riso Vialone Nano Veronese Igp”.

Ora Gabriele Ferron gira il mondo, portando ad esempio il successo della propria azienda, ma soprattutto promuovendone il prodotto: una qualità di riso versatile, pura perché cresciuta con l’acqua corrente delle risorgive di cui è ricco il sottosuolo, in un’area nella quale un patto di ferro lega i produttori del consorzio a tenere fede ad un rigido disciplinare che vieta tra l’altro l’uso di concimi e diserbanti chimici, mentre La Comunità europea protegge la varietà diventata famosa anche grazie al prestigioso riconoscimento Igp.

“Contento? Si, ma mai soddisfatto. Non credo ci si debba sentire mai completamente sazi del proprio lavoro”, dichiara Gabriele Ferron mentre, in maniche di camicia, attraversa svelto l’aia della “Pila vecia” (il mulino storico dei nonni) annusando l’aria fresca di fine estate, come un cane che fiuta il vento per sentire quando è in arrivo la pioggia. “Quest’anno il raccolto si farà più tardi – spiega a chi, vivendo in città, ha perso i contatti e il dialogo con la natura – perché la prima semina è stata ritardata per via del cattivo tempo. Ma dopo i classici 155 giorni di lavoro necessari a far maturare la spiga, possiamo garantire che il prodotto di quest’anno è proprio di ottima qualità”. 

Il riso non riserva sorprese a chi se ne prende cura, è docile e generoso perché “una spiga produce cento chicchi”, si dice. Ma l’uomo, che prima seminava a mano – con le mondine con i piedi e le mani nel fango e i buoi a trebbiare – anche ora che usa macchine con l’occhio laser per riconoscere il punto esatto dove mettere a dimora il chicco, non può fare a meno di guardare il cielo e sperare.

Sotto questo cielo un tempo era un suo trisavolo – “piloto”, ossia mugnaio del riso – a passare tutti i giorni della sua vita tra i pestelli e le pale ad acqua della “Pila vecia” per mondare i chicchi dalla pula per conto dei ricchi possidenti terrieri. Poi la crisi e la prepotenza dei signorotti locali ha imposto ad un altro vecchio antenato l’acquisto forzato dello strumento di lavoro che ormai non rendeva più, facendogli però dono di un appezzamento di terra nelle risaie. Così il “piloto” si trasformò in coltivatore di riso.

“I tempi erano duri – racconta Ferron – si guadagnava poco, la doppia attività nei campi e nella pila era faticosa e garantiva un equilibrio misurato, ma il peggio doveva ancora arrivare”. 

Quando l’industria soppiantò il lavoro manuale e le modifiche apportate nella “Pila Vecia” – i motori e le cinghie – non riuscirono ad eguagliare la resa degli impianti nuovi, l’attività della pila stava per fallire, ma una decisione coraggiosa impedì che venisse abbandonata.

“In quel momento si raccolsero le forze residue e si andò avanti – spiega il “piloto” diventato uno degli imprenditori che nel mondo portano in alto la bandiera della produzione del Riso Vialone Nano – mio padre non ebbe dubbi: acquistò un altro impianto e continuò a pelare riso, mentre io mi impegnai a proseguire la sua opera, aggiungendo in un secondo momento anche la scelta di trasformare questa vecchia “Pila” abbandonata, prima ancora che in attrazione turistica, in un vero impianto di produzione di nicchia per intenditori”.

Nella “Pila vecia” si lavora come una volta, sfruttando la forza e la velocità dell’acqua incanalata delle risorgive e la capacità abrasiva delle vecchie mole che “grattano via la pellicina intorno al chicco” per ottenere il risone che poi viene ulteriormente sbiancato, sempre in maniera artigianale e meccanica.

“Ci sono cuochi e ristoranti che richiedono esclusivamente questa qualità di riso – dichiara con orgoglio Ferron, che ha aggiunto alla sua passione per l’impresa familiare anche quella di cuoco specializzato nella preparazione di risotti –. Il nostro riso pelato con il vecchio impianto ha un gusto diverso rispetto a tutti gli altri, anche della stessa qualità. Purtroppo non se ne può produrre molto, perché i tempi della lavorazione sono lunghi, ma al momento è sufficiente a coprire le richieste”.

Quello di Gabriele Ferron per il riso è un amore a tutto tondo: non solo lo produce, lo confeziona, lo commercializza, ma lo cucina anche. Conosce tutti i segreti di una cottura perfetta, inventa ricette che propone in giro per il mondo. “Mi chiamano per fare dimostrazioni col mio riso da tutto il mondo. Insegno a cucinarlo anche ai giapponesi e mi diverto”. 

Insieme ai sui figli, che sono la quinta generazione di maestri “piloti”, Gabriele Ferron ha ideato una attrazione turistica e realizzato una stazione didattica attrezzata. “Accogliamo intere scolaresche, gruppi di appassionati cultori del riso, turisti o soltanto curiosi ai quali il personale del mio staff illustra tutti i passaggi della lavorazione tradizionale. Ma la felicità degli ospiti è fare con noi il risotto, così forniamo a tutti un fornello e un tegame, la quantità giusta di riso e i condimenti necessari per preparare la propria porzione, mentre un cuoco insega quali sono i passaggi da fare per la preparazione della ricetta tradizionale della zona “il risotto all’Isolana”. Alla fine ciascuno potrà gustare il proprio piatto e l’attività renderà indimenticabile la visita al nostro stabilimento”. 

E’ uno chef senza stelle, Gabriele Ferron, ma è felice. Anzi la felicità sembra proprio l’ingrediente nascosto del successo di questa azienda. Qui tutti appaiono soddisfatti: i figli che collaborano alle attività aziendali, i 30 dipendenti gratificati per i premi e i riconoscimenti che l’azienda colleziona ogni anno, gli ospiti che tornano a casa con una conoscenza e una esperienza diretta del mondo del riso, e persino il cane, che scodinzola dietro i passi veloci del suo padrone indaffarato. E che dire dei pesci? Filippo, lo storione allevato nello stagno insieme alle carpe, per le quali l’acqua limpida delle risorgive ammanta le squame di un intenso colore blu, fa capolino dal sottile velo di foglie che ricopre lo stagno non appena il suo amico Gabriele lo chiama per nome. 

“Sa perché questo Comune si chiama Isola? – sorride Gabriele Ferron – perché è un’isola felice”.

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