Articolo di Maria Torrisi

Si chiama “cucina Kosher” e vanta una solida e millenaria tradizione, diffusa in tutto il mondo grazie alle numerose comunità ebraiche che la perpetuano e la osservano come parte integrante della propria identità. 

In esame vengono presi ingredienti, preparazioni, lavorazioni, procedimenti di cottura, di conservazione e di sanificazione degli strumenti di lavoro. Le prescrizioni alimentari rappresentano il corpo centrale delle 613 regole dell’intera disciplina ebraica, con un dettagliato elenco di oltre 200 indicazioni chiamate “Kosherut”. 

“Tutto è un rito nella preparazione dei banchetti kosher, con tradizioni che le famiglie mantengono vive e si tramandano attraverso generazioni”, spiega Antonino Fratello, chef siciliano di Mazara del Vallo che, in giro per il mondo per le più importanti catene alberghiere, da 25 anni è ormai uno dei pochissimi esperti che godono della fiducia piena dei cuochi di cultura ebraica.

Antonino Fratello

La sua testimonianza diretta, condivisa su una piattaforma Web, ha attirato l’attenzione e suscitato l’interesse e la curiosità di numerosi cuochi siciliani e di alcuni maestri di cucina invitati dal presidente dell’Urcs Domenico Privitera, organizzatore dell’evento.

La sfilza di divieti nella cucina kosher sembrerebbe quasi una ghigliottina sui menù. “C’è il divieto assoluto al consumo delle carni di suino, ma c’è il via libera per i ruminanti, l’importante però – dettaglia lo chef Antonino Fratello – che gli animali, macellati e dissanguati da personale qualificato e secondo un preciso disciplinare, siano annoverati tra quelle specie che non abbiano lo zoccolo intero, come i cavalli ad esempio. E poi no ai pesci senza pinne e senza squame, come i gamberi e i mitili, e no all’abbinamento di carni con latticini”. 

Le regole impongono inoltre coltelli integri, taglieri che non basta siano puliti o sanificati perché devono essere “kasherizzati” con precise regole, piani di lavoro purissimi e forni accesi ore prima rispetto alla cottura degli alimenti. 

Nessuno si chiede perché vada fatto così, né perché la legge dei rabbini richieda – oggi come dalla notte dei tempi – la presenza di un controllore che certifichi la corretta preparazione dei cibi. Le regole sono accolte e “abbracciate” nella loro integrità. 

Ariel Bahbout

Un tema che oggi risuona di grande attualità, visto che forse mai prima d’ora si era riflettuto così tanto sul significato di norme e divieti, prescrizioni e sanzioni. In questi giorni sospesi, ingabbiati e disciplinati per l’emergenza sanitaria, non sono pochi coloro che hanno percepito le regole come incomprensibili privazioni di libertà, ma per fortuna non sono pochi coloro che hanno intuito che le norme, i permessi, i divieti e le procedure sono come i binari dei treni: strumenti necessari a non far deragliare i convogli, a segnare la strada e a consentire di viaggiare in sicurezza. E solo quando si ha questa consapevolezza le regole possono essere “abbracciate” senza che il loro peso sia sentito come un giogo.

“La cucina kosher non è “la cucina dei divieti” – si affretta a spiegare Ariel Bahbuout, lo chef pasticcere che a Roma è punto di riferimento non solo della tavola dei rabbini ma, attraverso una moderna rete di distribuzione, anche della maggior parte dei banchetti tradizionali dei 20mila ebrei romani e dei restanti 25mila che vivono nel resto d’Italia -. Utilizzare latte di soia o di riso al posto del latte animale permette di sperimentare novità aggiuntive, nel rispetto delle regole”. 

Le norme per la preparazione degli alimenti nella cucina kosher vengono vissute come un rito sacro, alla stregua di una celebrazione, con gesti che rimandano alla profonda consapevolezza che l’alimentazione non è un’attività umana marginale. 

“Dovremmo riappropriarci di questo approccio che restituisce centralità al cuoco – è la riflessione del presidente dell’Urcs Domenico Privitera – perché tutti noi sappiamo bene che un cibo preparato con amore è sicuramente più gustoso di un piatto preparato senza attenzione”.

Marchio kasher del Rabbinato di Safed

Questo approccio, trasversale alla cucina kosher, e lo spunto per la necessità di approfondire la conoscenza delle cucine tradizionali è stato particolarmente gradito dai tanti cuochi che hanno preso parte all’incontro tanto che, nello spazio dedicato al dibattito, hanno addensato un tale grumo di curiosità, di desiderio di condivisione di esperienze e di partecipazione che il presidente Domenico Privitera non ha potuto far altro che rinnovare l’invito per un nuovo appuntamento. 

“Si impara sempre e non bisogna mai stancarsi di apprendere”, hanno ricordato nell’occasione chef come Fabio Tacchella o Sergio Mei, che sebbene possano vantare carriere apicali, dimostrano la freschezza di chi ha sempre voglia di crescere. Mentre dalle parole dello chef Marco Valletta si rivela il plauso per il valore coesivo dell’iniziativa: “la tavola, che è convivialità, porta alla condivisione tra i popoli, come il confronto intelligente fra i cuochi porta sempre alla loro unione”.

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