Articolo di Maria Torrisi

E’ una scuola di pensiero diffusa quella che vuole che ci siano pochi ma fermi paletti a frenare la stravaganza a tavola anche di chi ha in mano il moderno scettro di potere: il portafogli con la carta di credito.

Stefano Caracciolo

Stefano Caracciolo, ad esempio, non usa mezzi termini: il suo credo in cucina è l’assenza di compromessi insostenibili. “Io ho detto di no – dichiara con fierezza lo chef catanese – perché non ce la farò mai a mantecare tortellini al ragù con la maionese! Lo facciano a casa loro”. Nel ristorante al Lungomare di Catania nel quale ora lavora, per fortuna non è ancora capitato di ricevere richieste così assurde, ma è certo che dalla sua cucina non verranno fuori mai “schifezze” solo per assecondare i desideri dei clienti.

Applica invece una misurata forma di “distacco tecnico” Max Ballarò che a Montallegro, nell’Agrigentino, crea piatti di cucina fusion con ingredienti del territorio lavorati con tecniche apprese nei periodi di permanenza all’estero e piatti della tradizione siciliana arricchiti con ingredienti sofisticati come il caviale o il tartufo. “Una volta un tedesco ordinò tagliolini all’astice con salame piccante – ricorda ancora inorridito il cuoco, che se pur ama essere creativo, non si avventura tra gli eccessi – ma non potevo assecondare in toto quella strana e assurda richiesta, così ho preparato i tagliolini all’astice secondo la regola e ho fatto accompagnare la portata con un secondo piatto nel quale c’era il salame piccante richiesto. Il messaggio era chiaro: io non “firmo” il tuo piatto, se vuoi ti do i mezzi per farlo”.

Salvo Chessa

Più didattico è l’approccio di Salvatore Chessari, che a 67 anni è orgoglioso della pensione raggiunta dopo una gavetta cominciata da bambino nelle cucine a legna a sbucciare patate e a passare pomodori, quando ancora non esistevano i prodotti conservati. “Non ho mai dovuto assecondare richieste strane – dice il cuoco che sulla spiaggia di Marina di Ragusa ha un ristorante stagionale specializzato nella cucina di pesce, mentre un altro lo ha aperto a Ragusa già dall’inizio degli anni Ottanta – perché sono sempre stato io a proporre e a consigliare”. Ora che si gode la pensione “Salvo Chessa” – così ama ancora farsi chiamare, accorciando anche il suo cognome come facevano i suoi clienti – si rallegra che sulle coste siciliane sono sempre più numerosi i turisti. “Sanno più di noi – dice con il rispetto per chi gli ha permesso di crescere la famiglia – studiano e si preparano prima di venire in Sicilia, sanno quali monumenti andare a visitare, quelli che magari noi non abbiamo mai visto, e a tavola chiedono le ricette della tradizione locale. Ritornano se si trovano bene e si fanno consigliare, affidandosi sempre di più. Ed è allora che io mi sento davvero felice perché ho trasferito non solo l’emozione di una esperienza a tavola, ma anche un pezzetto della nostra cultura”.

Maria Torrisi

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