matina calogeroIl saporoso poeta Archestrato di Gela, eccelso gastrofilo vissuto nella seconda metà del secolo IV a. C in Sicilia, per l’appunto nella ricca e austera Polis di Gela, ebbe grande successo non solo fra ristrette cerchie di buongustai sicilioti, ma ben oltre i confini dell’isola, tanto che la sua fama varcò il mar Mediterraneo arrivando ben presto in Grecia.

Mentore, appassionato mangiatore e abile quanto divertito cuoco, “colui che cantava non tanto le glorie degli eroi, ma quelle del palato”.

In un tempo in cui l’Epos non faceva fatica a cedere il passo alla gastronomia, affermazione azzardata nella nostra moderna visione ideologica che vede spesso l’uno contrapposto all’altra, apparentemente inconciliabili, e come avrebbe detto a dovere Giacomo Leopardi “quell’acconcia mescolanza di cose basse e volgari con cose sublimi”.

archestrato 1Il codice culturale impone che epos e gastronomia restino distinti, come l’atleta al ghiottone, il ventre al cuore, ma si sa “al cuor non si comanda”, così, il gelense genera voluttuosamente una parodia godereccia che prende vita nei suoi ricettari, e i suoi modi tipicamente archestratei, vanno letti tra le “righe”.

Come sono pochi gli uomini in grado di distinguere “il cibo per natura pregevole da quello che vale poco”», così egli parla del saper discernere il buon cibo da quello di scarsa qualità. Approda volutamente alla più arcaica filosofia alimentare che vede come protagonisti i cibi tipicamente Mediterranei. Un“breviario del buongustaio”, il suo, cui si attengono di norma i ricettari più seri. Egli, infatti, con dovizia, si premura sempre di indicare la stagione propizia di un cibo invece d’un altro, il luogo più idoneo e la più gustosa ricetta per cui esso è più indicato. Una godereccia e vivace carrellata che va di terra in terra, e che trasforma lo stesso Archestrato in viaggiatore eccelso conoscitore della gastrosofia antica.

 

Quale pesce sia più indicato? I cambiamenti di stagione ed i mutamenti degli astri modificano i cibi, ed è ciò che è preso a tempo debito che procura il godimento.

 

archestratoSenza dubbio il più rinomato poema di Archestrato di Gela è l’Hedypatheia, in cui l’autore racconta le gesta di un ricco uomo siculo che ha girato il mondo antico e che si diverte a scrivere le sue gastronomiche esperienze. Il protagonista è un raffinato ‘buongustaio’ che detta le buone regole per la riuscita di un convivio, una sorta di anticipazione del Galateo. Egli infatti suggerisce che è necessario «che tutti gli ospiti pranzino al convivio ad una sola tavola imbandita. I convitati che siano tre e non più quattro in tutto, superando il numero sarebbe infatti una tenda di mercenari che vivono di rapina».

«Sempre cingi a pranzo il capo di ghirlande d’ogni specie, di cui il rigoglioso suolo della terra sia fiorito. E cura i capelli con stillanti amabili essenze e getta ogni giorno sulla molle cenere del fuoco mirra e di odoroso incenso.

In Hedypatheia, Archestrato si occupa in prevalenza di pietanze, ma riesce a fornire indicazioni di qualità della buona tavola (Mensa).

«Poi quando levate il nappo ricolmo di vino in onore di Zeus salvatore, allora è ormai il tempo in cui bisogna bere vino invecchiato. Se ne assaggi all’improvviso, senza esservi abituato prima, ti sembrerà più fragrante per il suo infinito invecchiamento, ma se continui a berlo ti sembrerà godere prestigio degno non di vino, ma di ambrosia.

Il Gelense rivolge la sua attenzione alla carne, cosa abbastanza curiosa per l’epoca, visto che non era frequente per i Greci mangiar carne, se non in occasioni speciali, come sacrifici.

Come gustare una lepre: «Della lepre molti sono i modi, molte le ricette per prepararla, ma questa è certo la migliore: recane la carne arrostita ai singoli convitati mentre bevono, calda, cosparsa solo di sale, strappandola dallo spiedo ancora non troppo cotta. Non ti turbi vedere il sangue stillare dalle carni, ma mangiane con avidità. Gli altri modi di presentarla sono, a mio avviso, sempre un po’ troppo elaborati, sbrodolature di untume e profluvio di cacio e di olio in eccesso, come di chi prepara da mangiare per i gatti»

convivioArchestrato elenca con formidabile precisione e dovizia le migliori qualità di pane:

i doni di Demetra dalla bella chioma, caro Mosco: tu mettiteli bene a mente. Sono i migliori a prendersi e superiori a tutti, farinate ben lavorate di orzo dagli abbondanti frutti, più bianche dell’eterea neve dell’Etna: se gli dèi davvero mangiano farina, è di là che Ermete va a comprarla per loro.

Ricette, quelle di Archestrato, all’insegna della genuinità, una gastronomia leggera, la sua, naturale e volutamente schietta, in grado di valorizzare le qualità delle singole vivande. Egli si contrappone agli eccessi dei cuochi dell’epoca. Ed ecco come parla dei cuochi di Siracusa «sempre pronti ad imbrattare di cacio, aceto, silfio e altre frivolezze ogni pesce, a costo di snaturarlo.

E mentre bevi, ti si rechi tale dessert: ventre e vulva lessata di scrofa, messa in comino, aceto forte e silfio, e la tenera razza degli uccelletti arrosto, di cui sia stagione. E non curarti di questi Siracusani, che bevono soltanto, a mo’ di rane, e non toccano cibo. Suvvia, tu non dar retta a loro, ma mangia quei cibi che io ti dico:

Lodo la focaccia che si fa ad Atene: se non riesci ad averla altrove,vai, cerca di procurarti miele attico, poiché è questo che la rende superba. Non c’è spazio per il cattivo gusto, l’uomo scelga sempre il cibo migliore. Così deve vivere l’uomo libero, o altrimenti sottoterra e nel baratro, nel Tartaro vada in rovina, e sia sepolto giù per stadi infiniti»

libro archestratoArchestrato di Gela Promuove le eccellenze: “Prendi il cefalo e il pesce lupo dagli dèi allevato, perché quel luogo per natura porta questi eccellenti. Pare che nel ventre siano ricchi come non mai di grasso che soave olezza e che il palato di sapore punge. Son quelli, amico, di stupendo gusto. Gli stessi interi mangia, con tutte le squame.

Il vino Fenicio è per natura il più dolce di tutti, vino nobile a bersi, se è più avanti negli anni di molte belle stagioni. Potrei poi menzionare germogli stillanti grappoli anche di altre città della Grecia, e tesserne l’elogio e non mi sfuggono certo i nomi di molti vini robusti, ma tutto il resto, semplicemente, non è affatto paragonabile al vino siculo, in special modo quello coltivato e protetto da Efesti ai piedi di Ennia Il Vulcano, che per robustezza e gradevolezza fa dimenticare tutti gli altri vini.

 

Calogero Matina

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