Conosciute da sempre, un tempo le fave larghe di Leonforte erano molto diffuse: si coltivavano in rotazione con il frumento, servivano per arricchire il terreno di azoto e poi erano (e sono ancora) un ingrediente cardine della cucina leonfortese. La coltivazione è ancora oggi completamente manuale. Tra novembre e dicembre si preparano i solchi, si depongono i semi a postarella (a gruppi) e si ricoprono di terra. Poi si zappetta per togliere l’erba e si accuccia (si rincalza terreno attorno alle piantine). Quando le piante incominciano ad avvizzire si falciano, si fanno essiccare in piccoli covoni (manate di favi) e si battono nell’aia (una volta si calpestavano con gli animali). Per separare la furba (i resti di fogli e fusti) dal seme si buttano in aria, con un tridente, nelle giornate di leggera brezza. Le fave Larghe sono buone e cucivuli, dicono a Leonforte, ovvero cuociono facilmente e non vanno tenute a lungo in ammollo (come gli altri legumi). A fine marzo ci sono quelle verdi, appena raccolte: si bagnano nel sale con le cipollette e si mangiano con il formaggio pecorino (favaiana e cipuddetti) oppure si cucina la frittedda facendole soffriggere in olio extravergine con pancetta e cipolle e poi cuocere a fuoco lento. Le più piccole si davano agli animali; le più grandi si vendevano ai commercianti. Così ogni anno i campi di fave si riducevano e la fava larga rischiava di scomparire per sempre.

In passato era molto diffusa nel territorio come pianta miglioratrice, impiantata in precessione e successione alla coltura granaria, tipicamente sfruttante (un detto del passato recitava: “a favata cummatti cha malannata”, cioè nel terreno dove sono state impiantate le fave si ottiene sempre una discreta produzione anche in presenza di condizioni avverse); infatti le ripetute sarchiature manuali, i residui colturali e l’azoto fissato dai batteri simbionti (Rhizobium leguminosarum), permettevano alla successiva coltura di frumento duro di svilupparsi e produrre nel migliore dei modi (non si avevano a disposizione prodotti di sintesi, quali concimi e fitosanitari, oggi indispensabili per ottenere produzioni rispondenti alle richieste delle grandi industrie multinazionali).

La coltivazione della fava, fino all’inizio degli anni ’70, ha rappresentato una delle principali voci di reddito per l’economia agricola del territorio.

Oltre alle funzioni di pianta miglioratrice la coltivazione di tale leguminosa permetteva di ottenere un prodotto secco di facile e lunga conservazione e di utilizzo continuo nella cucina locale.

Le fave (carne dei poveri), assieme ai cereali, rappresentavano per le popolazioni locali la base della dieta quotidiana, l’elevato contenuto proteico ed il profilo aminoacidico della leguminosa, completandosi almeno in parte con quello dei cereali, sostituiva le proteine nobili dei prodotti di origine animale, nel passato, se non assenti, poco presenti nell’alimentazione soprattutto delle classi economiche più povere.

La meccanizzazione spinta di tutte le operazioni colturali che ha caratterizzato l’ultimo trentennio ed il sempre maggiore utilizzo di prodotti di sintesi, ha negli anni ridotto le superfici investite con tale coltura fino a quasi farla scomparire del tutto dagli ordinamenti colturali (da diverse centinaia di ettari investiti e da produzioni di diverse centinaia di tonnellate, si è passati a pochi ettari e solo pochissime tonnellate di prodotto raccolto).

La principale causa del declino è sicuramente da ascrivere all’impossibilità della meccanizzazione; le rilevanti dimensioni del seme, l’esiguo numero di baccelli e l’inserzione di questi a pochi centimetri da terra, rendono impossibili le operazioni di semina e soprattutto di raccolta meccanizzata; la necessità di ripetute sarchiature manuali e l’elevato costo della manodopera hanno fatto il resto.

Le abitudini alimentari attuali, ove predominano prodotti di origine animale, con effetti anche negativi per la salute umana e la sempre maggiore attenzione verso le diete di tipo mediterraneo, dove verdure e legumi occupano un posto di sicuro rilievo, hanno fatto aumentare l’interesse dei consumatori verso questo prodotto, diventato oggi di non facile reperimento nei mercati ove spesso si trovano altre varietà di fava, vendute in maniera fraudolenta, come fava di Leonforte.

 

La fava larga di Leonforte, in gergo chiamata anche “fava turca”, si caratterizza, oltre che per le rilevanti dimensioni dei singoli semi, per la facile cottura, per la ricchezza di nutrienti quali proteine, fibre, vitamine e sali minerali che uniti alla scarsa farinosità ed al gusto particolare del legume danno vita ad un prodotto sicuramente unico nel suo genere. Per varie motivazioni quali: il legame con il territorio, la coltivazioni con metodiche tradizionali esclusivamente manuali, l’elevata versatilità nella cucina tipica e l’elevato rischio di abbandono della coltura, è stata nel recente passato annoverata tra i presidi slow-food che, tramite un disciplinare di produzione e la tracciabilità del prodotto, garantisce condizioni di tipicità e di tradizionalità delle operazioni colturali.

Molto importante sarebbe, per venire incontro alle esigenze dei consumatori ed alle nuove tendenze di mercato, la possibilità di realizzare, partendo dalla materia prima fava di Leonforte (sia allo stato verde che secco), prodotti surgelati, precotti o comunque trasformati (conserve, etc.); si amplierebbe sicuramente così la fascia dei consumatori che oggi rifuggono il prodotto anche per il notevole tempo richiesto nella preparazione domestica delle varie pietanze.

Oggi i remunerativi prezzi di mercato del prodotto, le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro (in attività extra agricole) e l’assenza di altri sbocchi occupazionali, rappresentano condizioni che in prospettiva potranno far aumentare le superfici investite e le produzioni vendibili a favore di una sempre più ampia platea di consumatori.

Altri fattori quali l’associazionismo e l’adesione a progetti di salvaguardia della biodiversità, delle tradizioni e dei sapori locali, nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione (slow-food, born in Sicily, etc.), spero possano salvaguardare la coltura ed il territorio mantenendo ed aumentando gli attuali volumi di produzione.

Rispetto al passato i pochi, appassionati ed ostinati, produttori rimasti puliscono e selezionano manualmente (controllando i singoli legumi) l’intera produzione (spesso già ordinata prima della raccolta) in attesa della vendita.

I consumatori (famiglie o ristoratori) acquistano il prodotto direttamente dai produttori (anche con commercio elettronico e spedizione tramite corriere) o presso rinomati negozi specializzati nella vendita di prodotti tipici.Il Presidio Slow Food vuole valorizzare la terra di Leonforte, un’oasi verde nel cuore della campagna arida ennese, attraverso i suoi due prodotti simbolo: le fave, appunto, e le pesche tardive. Il disciplinare di produzione accompagna i produttori garantendo le tecniche antiche, dalla semine delle fave scelte attentamente alle lavorazioni manuali che segnano la qualità del prodotto e difendono i terreni dalle meccanizzazioni spinte. I produttori sono gelosi e orgogliosi del proprio seme, lo difendono dalla contaminazione delle varietà non locali e ne promuovono la bontà quale forma di conservazione e mantenimento. Le Fave secche le possiamo trovare tutto l’anno

Area di produzione

Comuni di Leonforte, Assoro, Nissoria, Enna, Calascibetta (provincia di Enna).

Ricetta

Spaghetto di farina di Tuminia mantecato con vellutata di Fave e olio evo  su crema di ricotta di pecora

Ingredienti :

gr 200 di spaghetti freschi di Tumina

gr 100 di fave fresche

cipolletta gr 50

gr 50 ricotta

olio evo, sale e pepe bianco

Procedimento :

Pulire le fave fresche , lavatele  e passatele in padella con la cipolletta e scottare per qualche minuto bagnare con del brodo vegetale e far cuocere per circa 10 minuti.

Con l’aiuto di un mixer ad immersione frullate fino ad ottenere una vellutata.

Con la ricotta ottenete una crema con qualche goccia di acqua di cottura della pasta.

Cuocere la pasta in acqua salata per qualche minuto , passate in padella la vellutata , completate la cottura e  mantecate con la crema di fave e olio evo.

Adagiate al centro di un piatto la crema di ricotta e adagiatevi  gli spaghetti accompagnate con qualche goccia d’olio evo.

 

 

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