Articolo di Maria Torrisi

Nei piatti a base di riso il vero ingrediente è la scelta della varietà giusta perché qui più che altrove, se si mira ad un risultato di qualità, non basta l’indicazione generica del cereale. 

In natura ogni varietà di riso si differenzia dalle altre per una vasta gamma di caratteristiche, ma in cucina quelle più importanti sono solo alcune: la forma e la grossezza del chicco, la maggiore o minore tenuta nella cottura, la quantità di amido contenuto e la diversa capacità di assorbire i condimenti. 

Prima ancora di essere definito dalle mani del cuoco il gusto del riso e la sua resa in cottura dipendono anche dai processi di lavorazione del cereale successivi alla raccolta, quali il grado di raffinazione cui è stato sottoposto, il procedimento usato nelle varie fasi di trasformazione e i tempi della stagionatura.

Ogni cuoco ha le proprie preferenze e, anche se non esistono regole fisse e buona parte del risultato dipende dal metodo e dai tempi di cottura, ogni ricetta in genere richiede la scelta di una specifica varietà di riso. Sul mercato ne esistono diverse, ma l’area di provenienza, il suo clima, il tipo di coltivazione, il metodo di lavorazione e di stoccaggio attribuiscono al chicco le sfumature che fanno la differenza nel piatto.

Nel mondo sono 140 mila le varietà esistenti, mentre quelle registrate in Italia sono 126. Le classificazioni cambiano negli anni mentre nei campi si continua a sperimentare, cercando nuovi incroci che ne aumentino la resa sul mercato.

Le due sottospecie indicate per l’alimentazione umana sono la “Indica” tipica dei climi tropicali e adatta ai piatti esotici e la “Japonica” diffusa nei climi temperati, Italia compresa, che è maggiormente indicata per i risotti.

In Italia, il Paese che detiene il primato della produzione in Europa, il riso giunse nel VIII secolo, portato dagli arabi. La porta attraverso la quale sbarcò fu la Sicilia dove il riso venne coltivato nelle pianure vicine alle aree fluviali del Simeto, a Lentini e nella Piana di Catania, ma anche a Centuripe, Adrano, Paternò, Calatabiano, Vittoria e Bivona.

Nel Medioevo, grazie il commercio delle navi arabe, genovesi e veneziane, si diffuse in Italia e in Europa insieme alle spezie. Fu in quest’epoca che gli ordini monastici cominciarono a coltivarlo, ma il suo impiego massiccio come fonte primaria di alimentazione si diffuse in seguito alle carestie, quando si rese necessario trovare un alimento in grado di crescere velocemente e di avere un’elevata resa. Per questo nel Cinquecento il riso era considerato “cibo dei poveri” e non compariva sulle tavole delle corti, mentre nel Settecento fu addirittura accusato di diffondere le epidemie di malaria. 

Bisogna aspettare tempi più recenti e studi specifici sulle caratteristiche nutrizionali degli alimenti, per vedere fiorire l’interesse verso questo cibo, oggi considerato prezioso anche alla salute.

Per distinguerlo le classificazioni moderne prendono in esame le caratteristiche di forma e grossezza del chicco: il tipo comune ha forma piccola e tondeggiante, il semifino ha chicchi di grandezza media, il fino ha una pezzatura più grande e una forma allungata, il superfino ha queste due caratteristiche ancora più accentuate. 

In genere le varietà con i chicchi più piccoli e rotondi rilasciano più amido e tengono meno la cottura quindi sono adatte alla pasticceria, alle minestre e ai risotti mantecati, mentre le varietà a chicchi più grossi e affusolati hanno consistenza compatta, tengono meglio la cottura e sono maggiormente adatte a creare piatti in cui il riso deve rimanere definito e sgranato, come per la preparazione di risotti più complessi e per le insalate di riso.

Una mappa dettagliata delle varietà di riso è disponibile solo in studi altamente specializzati, ma un veloce prontuario può raggruppare le varietà attraverso caratteristiche simili: 

–       Originario, Padano, Balilla (hanno chicchi piccoli e tondi che reggono poco la cottura e sono adatti soprattutto in pasticceria), 

–       Roma (ha chicchi grossi e arrotondati che assorbono aromi ma rilasciano molto amido, non tengono la cottura e sono adatti ai risotti cremosi), 

–       Vialone Nano (riso semifino a pasta tenera con chicchi tondi di media lunghezza che rilasciano una giusta quantità di amidi, assorbono liquidi e condimenti e sono ideali per timballi, arancini, minestre e risotti mantecati), 

–       Ribe (riso fino utilizzato come parboiled, ha chicchi affusolati e compatti anche dopo la cottura), 

–       Arborio (riso superfino con chicchi grandi che in cottura cedono l’amido restando intatti, è indicato per risotti mantecati), 

–       Carnaroli (ha chicchi grandi, affusolati e lunghi che assorbono bene condimenti e aromi, in cottura aumentano anche di tre volte il loro volume), 

–       Baldo (superfino, assorbe facilmente liquidi e aromi, ideale per risotti sgranati e mantecati), 

–       Basmati, Patna (varietà aromatiche con chicchi affusolati che tengono la cottura, si allungano e hanno un’ottima sgranatura, sono adatti a cotture al vapore, per contorni e piatti freddi).

Per completare il quadro bisogna citare almeno alcune altre varianti di riso:

–       Parboiled (in realtà non si tratta di una varietà di riso, quanto piuttosto di una modalità di trattamento dei chicchi che, attraverso una precottura parziale, impedisce che scuociano),

–       Venere (nero e profumato, è nato in Italia da un incrocio con una varietà asiatica, in cottura mantiene consistenza e volume), 

–       Riso selvaggio (non è un vero riso, ma una graminacea del Nord America con chicchi che assomigliano ad un bastoncino, scuri, sottili e molto allungati, adatti a preparare contorni di carne o pesce), 

–       Jasmine (varietà tailandese di riso rosso integrale e aromatico che in cottura sprigiona un profumo intenso ed è adatto alle ricette orientali).

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