Due mesi e mezzo di chiusura forzata a causa dell’emergenza Covid-19 sono stati difficili da digerire, ma finalmente adesso la ristorazione può tornare a sperare. Le cucine sono di nuovo aperte anche se le sale, a causa delle nuove disposizioni che impongono anche misure di distanziamento tra i tavoli, accolgono ora un numero più limitato di clienti.
Ma intanto si riparte e questo basta a far tirare un sospiro di sollievo anche a chi, tra i più ottimisti, aveva immaginato di recuperare la distanza perduta grazie ad una posizione di vantaggio ed invece è costretto a fare i conti con una ripartenza lenta.
Come è accaduto allo chef Rocco Di Marzo, che dallo “StraVento” di Trapani – con i sapori della tradizione delle sue busiate al pesto trapanese o alle sarde e finocchietto e con il suo classico couscous di pesce, solo per citare alcuni dei suoi piatti più richiesti – presidia il lembo occidentale più estremo dell’Isola. Il suo ristorante, a 20 metri dal mare, sulle storiche Mura di Tramontana, a breve distanza da quella Torre di Ligny che rappresenta la “Finisterre” siciliana, immaginava di ritrovare pressoché immutati, nel momento della riapertura, i soliti numeri legati alla stagione turistica.
“Dopo il taglio dei guadagni per la chiusura forzata, il perdurare del divieto negli spostamenti ha penalizzato pesantemente l’economia del nostro settore – è il rammarico dello chef trapanese – e la chiusura delle frontiere ha prosciugato quest’anno una quota consistente al nostro reddito che era legato al flusso dei turisti stranieri che già in questi mesi di tarda primavera visitano la nostra isola”.
“I clienti abituali sono tornati – continua lo chef, per completezza di informazione, offrendo la propria analisi a pochi giorni dalla riapertura delle attività – e anzi molti non vedevano l’ora di ritrovare le vecchie abitudini, ma per noi i numeri non sono ancora sufficienti e i conti non quadrano”.
Gli affezionati della buona tavola sono contenti di ritrovare il gusto della tradizione e la creatività dello chef, ma ora trovano anche qualcosa in più.
“Durante i giorni del lockdown ci siamo un po’ ingrassati – confessa con un sorriso lo chef Di Marzo, ritornando con la memoria ai lunghi giorni in cui, come è successo a tanti altri colleghi, si è dedicato a cucinare soltanto per la famiglia – ma abbiamo anche potuto riscoprire qualche altro piatto della memoria che adesso abbiamo inserito nel menù del ristorante”.
Nella carta il ventaglio delle proposte è in realtà diminuito rispetto ai consueti 6 antipasti, 8 primi e 8 secondi, ma la novità sta nella nuova impostazione del menù: dell’offerta fa parte soltanto ciò che è reperibile sul mercato e la scelta piace molto anche ai clienti che, evidentemente, con le ristrettezze della quarantena, hanno affinato la sensibilità per la tutela dell’ambientale, per il rispetto delle risorse, il risparmio e la valorizzazione del territorio, che è anche garanzia di qualità delle materie prime impiegate.
“Quando si è fermato il mondo – è la spiegazione che si è data lo chef Di Marzo – abbiamo tutti capito qual è la vera scala dei valori e abbiamo messo in cima le relazioni umane, il territorio e il cibo. Sono certo che quella lezione non la dimenticheremo più, perché ha lasciato una traccia così indelebile che guiderà tutte le nostre future scelte. A partire da quella del cibo. Ora abbiamo chiaro che le risorse non si sprecano e così si prediligono gli ingredienti del territorio che danno lavoro alla nostra regione, che godono di un maggiore controllo e che non sprecano combustibili per giungere a noi da terre lontane. Così – sintetizza lo chef dello “StraVento” – a tutti è diventato chiaro il concetto e il significato profondamente etico di “prodotto a chilometro zero”. Quello che scelgo ormai esclusivamente per i miei piatti e che i miei clienti mi aiutano a preferire perché me lo chiedono con convinzione crescente”.
Grazie a questo nuovo sentire, che accumuna clienti e ristoratori, la ripartenza assume un significato diverso rispetto ad un semplice avvio dopo una battuta di arresto: diventa scommessa e azione comune.
Tanto che il peso del mancato guadagno, che pure grava nel bilancio di questo terribile anno, sembra quasi compensato dalla scoperta di nuovi valori.
“Purtroppo sono venuti a mancare i banchetti del periodo di Pasqua, i ricevimenti per le Prime Comunioni e le Cresime, e queste perdite economiche – quantifica Di Marzo – sono un macigno sui nostri conti perché i costi fissi del locale e delle utenze li abbiamo dovuti sostenere ugualmente, mentre i guadagni preventivati per i mesi di marzo e di aprile si sono volatilizzati in maniera irrimediabile. Ma siamo già proiettati verso la nuova stagione estiva, con molte attese e molte speranze”.
Formule facili per colmare il divario accumulato non se ne vedono, né per lo chef dell’estremo lembo di Sicilia l’opzione del delivery appare la via migliore da perseguire.
“Ho fatto una scelta – dice con convinzione – e anche se sono in molti a richiedermi la consegna a domicilio, sono fermo nella mia posizione. I miei piatti sono architetture che hanno bisogno del servizio al tavolo e della giusta temperatura per essere apprezzate nel modo migliore. Non faccio pizze, hamburger o panini da asporto e il prezzo che devo pagare per la mia scelta di coerenza è quello della rinuncia a forme di guadagno più facili”.
Un impegno che i clienti più avveduti hanno già dimostrato di apprezzare, ritornando a frequentare il ristorante che, per la sua posizione e per l’impostazione del suo chef, ha la forza della tradizione alle spalle e la prospettiva di uno sguardo che punta oltre l’orizzonte.